3 / 16 Febbraio 2025
Domenica del Figlio prodigo
Santo e Giusto Simeone e la Profetessa Anna
Versione pdf: 087 paroledivita
IN QUESTO NUMERO
– Letture liturgiche
– Istruzione sulla domenica del figliol prodigo. di Sant’Ignazio (Brianchaninov)
Apolytikion della Domenica
(tono primo)
Sigillata la pietra dai giudei, * mentre i soldati erano a guardia del tuo corpo immacolato, * sei risorto il terzo giorno, o Salvatore, * donando la vita al mondo. * Per questo le schiere celesti gridavano a te, * datore di vita: * Gloria alla tua resurrezione, o Cristo, * gloria la tuo Regno, * gloria alla tua economia, * o solo amico degli uomini.
Letture liturgiche
AL MATTUTINO
Evangelo aurorale primo (Matteo 28, 16-20)
ALLA LITURGIA
Apostolo
Lettura della prima epistola di Paolo ai Corinti (6, 12-20)
Fratelli, tutto mi è lecito ma non tutto giova; tutto mi è lecito, ma io non sarò dominato da alcuno. Il cibo è per il ventre e il ventre per i cibi, ma Dio distruggerà questo e quelli! Il corpo non è per l’immoralità, bensì per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio ha risuscitato il Signore e risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di prostituta? No! Non sapete che chi si unisce a una prostituta forma un corpo solo? Saranno – dice – i due in una sola carne. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite l’immoralità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma chi si dà all’immoralità pecca nel proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio del Santo Spirito che è in voi, che avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a prezzo! Glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che sono di Dio.
Evangelo
secondo Luca (15, 11-32)
Disse il Signore questa parabola: «Un uomo aveva due figli, e il minore di essi disse a suo padre: “Padre, dammi la parte dei beni, che mi tocca”. Ed egli fece tra loro le parti delle facoltà. E di lì a pochi giorni, messo il tutto insieme, il figlio minore se ne andò in un paese lontano, e ivi dissipò tutto il suo nella dissipazione. E dato che ebbe fondo a ogni cosa, ci fu una gran carestia in quel paese, ed egli cominciò a mancare del necessario.
E andò, e si stabilì presso di uno dei cittadini di quel paese; il quale lo mandò alla sua villa a fare il guardiano dei porci. E avrebbe voluto riempirsi il ventre delle ghiande che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava.
Rientrato però in sé stesso, disse: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza; e io qui mi muoio di fame! Mi alzerò, e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro del cielo, e contro di te, non sono ornai degno di esser chiamato tuo figlio: trattami come uno de’ tuoi salariati.”
E alzatosi andò da suo padre. E mentre egli era ancora lontano, suo padre lo scorse, e si mosse a pietà, egli corse incontro, e gli gettò le braccia il collo, e lo baciò. E il figlio disse: “Padre, ho peccato contro del cielo, e contro di te: non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”.
E il padre disse ai suoi servi: “Presto cavate fuori la veste più preziosa, e mettetegliela indosso, e ponetegli al dito l’anello, e i calzari ai piedi; e portate il vitello grasso, e uccidetelo; e si mangi, e si banchetti: Perché questo mio figlio era morto, ed è risuscitato; si era perduto, ed è stato ritrovato.” E cominciarono a banchettare.
Or il figlio maggiore era nei campi, e al ritorno, avvicinandosi a casa, sentì la musica e i balli. E chiamò uno dei servi, e gli domandò che cosa fosse.
E quegli rispose: “È tornato tuo fratello, e tuo padre ha ucciso il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano.”
Ed egli andò in collera, e non voleva entrare. Il padre dunque uscì fuori, e cominciò a pregarlo. Ma quegli rispose, e disse a suo padre: “Sono già tanti anni, che io ti servo, e non ho mai trasgredito un tuo comando, e non mi hai dato mai un capretto, che me lo godessi coi miei amici. Ora però che è venuto questo tuo figlio, che ha divorato il suo con le meretrici, hai ucciso per lui il vitello grasso.”
Ma il padre gli disse: Figlio, tu sei sempre con me, e tutto quello che è mio è tuo: Ma era giusto banchettare, e far festa, perché questo tuo fratello era morto, ed è risuscitato, si era perduto, ed è stato ritrovato”.»
Istruzione sulla domenica del figliol prodigo
di Sant’Ignazio (Brianchaninov)
Amati fratelli! La Santa Chiesa, madre amorevole di tutti i suoi figli, che ha dato loro la vita per la salvezza, e si prende cura di sé per assicurare che i suoi figli non perdano la loro eredità, ovvero il Cielo, preparandoli per il completamento con successo del prossimo “podvig” [lotta] del Digiuno Quaresimale, ha ordinato che oggi leggiamo nella Divina Liturgia la parabola del nostro Signore Gesù Cristo sul figliol prodigo.
In cosa consiste la lotta del santo Digiuno Quaresimale? Nella lotta del pentimento. Nel corso di questi giorni, ci troviamo di fronte al tempo dedicato in gran parte al pentimento, come di fronte alle porte del pentimento, e cantiamo il canto che è pieno di sentimento contrito: «Aprimi le porte del pentimento, o Datore della vita!» Cosa ci rivela la parabola evangelica di nostro Signore che ascoltiamo oggi? Rivela l’insondabile, infinita misericordia del nostro Padre Celeste per i peccatori che portano avanti il pentimento. Il Signore lo fece sapere agli uomini, chiamandoli alla conversione: «Allo stesso modo, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un peccatore che si pente» (Lc. 15:10). E affinché le Sue parole si imprimessero ancora più fortemente nei cuori dei Suoi ascoltatori, decise di integrarle con una parabola.
«Un uomo aveva due figli», dice la parabola del Vangelo. Il più giovane di loro chiese al padre di dargli la sua parte di eredità. Il padre lo fece. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane prese la sua eredità e partì per un paese lontano, dove spese tutta la sua eredità in una vita dissoluta. Quando ebbe speso tutto, venne una carestia in quel paese. Il figlio dell’uomo ricco non solo si ritrovò nel bisogno, ma addirittura in uno stato disperato. In questa grave situazione, chiese aiuto a uno degli abitanti del posto, che lo mandò nei campi a pascolare i suoi porci. Esausto per la fame, il miserabile sarebbe stato felice di riempirsi la pancia con il più grossolano mangime per maiali! Ma questo si rivelò impossibile. In tale stato, alla fine tornò in sé e, ricordando l’abbondanza della sua casa paterna, decise di tornare da suo padre. Preparò mentalmente cosa avrebbe detto a suo padre per ottenere la sua propiziazione: avrebbe ammesso il suo peccato e la sua indegnità e avrebbe chiesto umilmente di essere accettato, non nella famiglia di suo padre, ma come uno dei suoi numerosi schiavi e servi salariati. Con questo nel cuore, il figlio più giovane si mise in cammino. Era ancora lontano dalla casa di suo padre quando suo padre lo vide. Lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. Quando suo figlio pronunciò la confessione e la richiesta che aveva preparato, suo padre chiamò i servi, dicendo: «Portate qui la veste più bella e rivestitelo; mettetegli un anello al dito e dei sandali ai piedi; e portate qui il vitello grasso e ammazzatelo; e mangiamo e facciamo festa: perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato.» Il figlio maggiore, che era sempre sottomesso alla volontà del padre, era nel campo e, quando tornò a casa, la festa era iniziata. Trovò strano il comportamento del padre nei confronti del figlio minore. Ma ispirato dalla giustizia dell’amore, di fronte alla quale ogni altra giustizia è patetica e insignificante, il padre protestò: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo. Era giusto che facessimo festa e fossimo lieti: perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato» (vedi Lc. 15, 11-32).
Secondo i santi padri, il figlio minore potrebbe essere un’immagine di tutta l’umanità decaduta e di ogni peccatore. L’eredità del figlio minore sono i doni di Dio, di cui ogni persona è dotata, specialmente i cristiani. I doni più supremi di Dio sono la mente e il cuore, e specialmente la grazia del Santo Spirito data a ogni cristiano. La richiesta del figlio che il padre gli dia la sua eredità da usare secondo la sua volontà è il tentativo dell’uomo di liberarsi della sua sottomissione a Dio e seguire i suoi pensieri e desideri. La cessione dell’eredità da parte del padre è una rappresentazione dell’autogoverno con cui Dio ha onorato l’uomo per l’uso dei suoi doni. Il paese lontano è una vita peccaminosa, che ci allontana e ci aliena da Dio. Lo sperpero dell’eredità è l’esaurimento dei poteri della nostra mente, del nostro cuore e del nostro corpo; in particolare l’oltraggio contro lo Spirito Santo e la sua espulsione da noi stessi attraverso le nostre azioni peccaminose. La povertà del figlio minore è il vuoto dell’anima, che deriva da una vita peccaminosa. Gli abitanti del paese lontano sono i principi delle tenebre di questo mondo, gli spiriti caduti, permanentemente caduti e alienati da Dio. Il peccatore si sottomette alla loro influenza. La mandria di animali impuri [maiali] sono i pensieri e i sentimenti peccaminosi che vagano nell’anima dei peccatori, pascolando nei suoi pascoli. Sono l’inevitabile conseguenza di atti peccaminosi. Invano un uomo pensa di mettere a tacere questi pensieri e sentimenti realizzandoli: sono quasi impossibili da soddisfare! L’uomo può realizzare questi pensieri e sogni appassionati, ma ciò non può distruggerli, li spinge solo a raddoppiare la loro forza. L’uomo è creato per il cielo; solo la vera bontà può essere il suo cibo soddisfacente e vivificante. Il male, che attrae e seduce il gusto del cuore danneggiato dalla caduta, è capace solo di spogliare la natura dell’uomo.
Quanto è orribile il vuoto dell’anima provocato da una vita peccaminosa! Insopportabile è il tormento dei pensieri e dei sentimenti passionali e peccaminosi, quando si agitano come vermi nell’anima, quando lacerano l’anima che si è sottomessa a loro, l’anima che da loro è stata violata! Spesso un peccatore tormentato da pensieri feroci, sogni e desideri insoddisfatti giunge alla disperazione. Spesso cerca di togliersi la vita, sia temporale che eterna. Beato il peccatore che torna in sé durante quel periodo terribile e ricorda l’amore sconfinato del Padre Celeste e le smisurate ricchezze spirituali che traboccano nella casa del Padre Celeste, la santa Chiesa. Benedetto è quel peccatore che, inorridito dalla sua stessa peccaminosità, vuole liberarsi del suo peso opprimente attraverso il pentimento.
Impariamo dalla parabola del Vangelo che per un pentimento di successo e fruttuoso, un uomo deve provvedere da parte sua: vedere il proprio peccato, riconoscerlo, pentirsene e confessarlo. Dio vede chi ha fatto questa promessa nel cuore mentre è «ancora molto lontano»; la vede e gli corre incontro, la abbraccia e la bacia con la Sua grazia. Non appena il penitente ebbe pronunciato la sua confessione del suo peccato, il Signore misericordioso comandò agli schiavi, gli inservienti dell’altare e i santi angeli, di rivestirlo con vesti luminose di purezza, di mettergli l’anello al dito come testimonianza della sua rinnovata unione con la Chiesa sia sulla terra che in cielo, e di mettere i calzari ai suoi piedi, in modo che le sue azioni fossero protette dalle spine spirituali mediante precetti saldi, perché questo è il significato dei calzari: i comandamenti di Cristo. Per completare l’azione dell’amore, si tiene una festa d’amore per il figlio ritornato, per la quale viene ucciso un vitello grasso. Questa festa simboleggia la festa della Chiesa a cui il peccatore è invitato una volta che si è riappacificato con Dio, il cibo e la bevanda spirituali e incorruttibili, Cristo, promessi molto tempo fa all’umanità, preparati attraverso l’ineffabile misericordia di Dio per l’uomo decaduto fin dal momento stesso della sua caduta.
La parabola del Vangelo è un insegnamento divino. È profonda ed esaltata, indipendentemente dalla straordinaria semplicità delle parole umane in cui la Parola di Dio si è degnata di essere rivestita. La santa Chiesa ha saggiamente ordinato che questa parabola fosse letta a tutti prima dell’inizio del prossimo Digiuno di Quaresima. Quale notizia più consolante potrebbe esserci per un peccatore che sta tremando davanti alle porte del pentimento, se non questa notizia sull’infinita e ineffabile misericordia del Padre Celeste per i peccatori pentiti? Questa misericordia è così grande che ha stupito gli stessi angeli, i figli primogeniti del Padre Celeste, che non avevano mai trasgredito un solo Suo comandamento. Le loro menti splendenti ed elevate non potevano comprendere l’insondabile misericordia di Dio per l’umanità caduta. Avevano bisogno di una rivelazione dall’Alto riguardo a questo argomento, e hanno imparato da questa rivelazione che è giusto per loro fare festa ed essere lieti, perché il loro fratello minore, la razza umana, era morto ed è di nuovo in vita; era perduto ed è stato ritrovato, tramite il Redentore. C’è gioia nella presenza degli angeli di Dio anche per un solo peccatore che si pente.
Amati fratelli! Usiamo il tempo stabilito dalla santa Chiesa per prepararci alle fatiche ascetiche del santo Digiuno Quaresimale, in conformità con il suo scopo. Usiamolo per contemplare la grande misericordia di Dio per gli uomini e per ogni persona che desidera rappacificarsi con Dio e unirsi a Lui attraverso il vero pentimento. Il nostro tempo in questa vita terrena non ha prezzo; perché durante questo tempo, decidiamo la nostra sorte eterna. Ci sia concesso di decidere la nostra sorte eterna per la nostra salvezza e per la nostra gioia! Che la nostra gioia sia infinita! Che si unisca alla gioia dei santi Angeli di Dio! Che la gioia degli Angeli e degli uomini sia adempiuta e resa perfetta attraverso il loro adempimento della volontà del Padre Celeste! Perché non è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che uno di questi piccoli, esseri umani, deprecati e umiliati dal peccato, perisca (Mt. 18, 14). Amen.
Sant’ Ignazio Brjančaninov (festa il 13 Maggio del cal. ecclesiastico) nacque in una famiglia nobile della regione di Vologda ed ebbe il nome secolare di Dimitrij Aleksandrovic Brjančaninov. Intraprese dapprima la carriera militare, ma al tempo dei sui studi a San Pietroburgo venne a contatto con i fermenti religiosi dell’epoca. Influenzato dallo starez Leonida e immerso nella tradizione ascetica esicasta, divenne monaco con il nome di Ignatij [Ignazio] e assunse la guida del monastero della Trinità San Sergio, dove per 23 anni istruì i suoi fratelli alla preghiera del cuore e al combattimento spirituale. Eletto vescovo del Caucaso e del Mar Nero, si ritirò a Kostroma per motivi di salute e dedicò gli ultimi anni alla stesura di opere spirituali che riscossero grande successo per il loro invito a una vita radicalmente fedele al Vangelo. Si addormentò nel Signore il 30 aprile 1867.