Parole di Vita n. 96

28 Aprile / 11 Maggio 2025
Quarta Domenica di Pasqua
Domenica del paralitico
Santi nove martiri di Cizico
La Giusta Tabità

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In questo numero:
Letture liturgiche
Il paralitico di Betzetà dal Commento al Vangelo di San Giovanni dal Beato Teofilatto, Arcivescovo di Ocrida e Bulgaria

Apolytikion di questa Domenica
(tono terzo)

Si rallegrino le regioni celesti, esultino quelle terrestri, perché il Signore ha operato potenza con il suo braccio: con la morte ha calpestato la morte, è divenuto primogenito dai morti, dal ventre dell’ade ci ha strappati, e ha elargito al mondo la grande misericordia.


Letture liturgiche

AL MATTUTINO

Evangelo aurorale quarto (Luca 24, 1-12)

ALLA LITURGIA

Apostolos
Lettura degli Atti degli apostoli (Atti 9, 32-42)

In quei giorni avvenne che mentre Pietro passava da tutti, giunse anche dai fedeli che dimoravano a Lidda. Qui trovò un uomo, un tale di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico. Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto». E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore. A Ioppe c’era una discepola di nome Tabithà, che significa Gazzella. Era ricca per opere buone e le elemosine che faceva. Capitò che in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero nella stanza di sopra. E poiché Lidda era vicina a Ioppe i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini a pregarlo: «Non tardare a passare da noi!» Pietro si alzò e andò con loro. Appena arrivato lo condussero alla camera di sopra e gli si presentarono tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era con loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto al corpo disse: «Tabithà, alzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la alzò, poi chiamò i santi e le vedove, e la presentò loro viva. La cosa fu nota in tutta Ioppe, e molti credettero nel Signore.

Evangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni (Giovanni 5, 1-15)

In quel tempo era la festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. C’è a Gerusalemme, presso la Porta delle pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzetà, che ha cinque portici, sotto i quali giaceva una moltitudine di infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che aspettavano il movimento delle acque. Infatti un angelo del Signore in certi momenti scendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo a entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua, guariva da qualsiasi malattia fosse affetto. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo steso e sapendo che da molto tempo stava così, gli dice: «Vuoi guarire?» Gli rispose il malato: «Signore, non ho uomo che mi immerga nella piscina quando l’acqua viene agitata; quando vado io, un altro scende prima di me». Gesù gli dice: «Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina». E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo giaciglio, camminava. Quel giorno era un sabato. Dicevano dunque i Giudei al guarito: «È sabato e non ti è lecito prendere il tuo giaciglio». Ma egli rispose loro: «Chi mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina». Gli chiesero: «Chi è l’uomo che ti ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina?» Ma il guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato dalla folla che c’era in quel luogo. Dopo queste cose Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio.» Quell’uomo se ne andò e annunciò ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.


Il paralitico di Betzetà

Dal Commento al Vangelo di San Giovanni
dal Beato Teofilatto, Arcivescovo di Ocrida e Bulgaria

Commento alla pericope evangelica della quarta domenica di Pasqua. (Giovanni 5, 1-15)

1-4. Dopo queste cose era la festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. C’è a Gerusalemme, presso la Porta delle pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzetà, che ha cinque portici, sotto i quali giaceva una moltitudine di infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che aspettavano il movimento delle acque. Infatti un angelo del Signore in certi momenti scendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo a entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua, guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.
Era una festa dei Giudei, credo la Pentecoste. Il Signore vi salì in questa festa per due motivi: primo, per non apparire, con la sua assenza, contrario alla legge, ma per essere visto celebrare insieme agli altri. In secondo luogo, Egli salì alla festa per attirare a Sé più persone con i Suoi segni e insegnamenti, soprattutto tra la folla innocente. Infatti, i contadini e gli artigiani, che negli altri giorni erano impegnati nei loro lavori, si riunivano sempre nei giorni di festa. La piscina era chiamata Piscina delle Pecore, perché lì si radunavano le pecore destinate al sacrificio e, dopo essere state uccise, le loro viscere venivano lavate nella sua acqua. Era credenza comune che, semplicemente lavando le viscere dei sacrifici, l’acqua assumesse un potere divino e, per questo motivo, l’angelo vi giungesse in determinati momenti per compiere un miracolo. Qui vediamo la divina provvidenza guidare gli ebrei fin dall’inizio verso la fede in Cristo, preordinando per loro questo miracolo della piscina. In queste credenze e pratiche giudaiche Dio prefigurò il Battesimo, che avrebbe contenuto un grande potere e i doni della purificazione dei peccati e della risurrezione delle anime. Aveva già dato loro l’acqua per la purificazione delle macchie, non della macchia fondamentale, ma di quelle che apparivano tali prima (la Nuova Alleanza), come la macchia del contatto con un cadavere, un lebbroso e così via. Poi diede loro questo miracolo della piscina, preparandoli a ricevere il Battesimo. Un angelo scendeva in certi momenti e agitava l’acqua, infondendole un potere di guarigione. In verità, non è nella natura dell’acqua guarire da sola (se così fosse, guarirebbe invariabilmente); è interamente attraverso l’attività dell’angelo che il miracolo era compiuto. Così è per noi che l’acqua del Battesimo è semplice acqua, che, attraverso le invocazioni rivolte a Dio, riceve la grazia dello Spirito Santo per liberarci dalla malattia spirituale. E quest’acqua guarisce tutti: i ciechi, i cui occhi spirituali sono oscurati e incapaci di distinguere il meglio dal peggio; gli zoppi, che non possono né muoversi verso il bene, né avanzare verso ciò che è meglio; gli inariditi, che sono nella disperazione totale e non hanno parte in alcun bene. Tutti sono guariti dall’acqua del Battesimo. Prima, la nostra stessa debolezza ci aveva impedito di essere guariti, ma ora non c’è più alcun ostacolo al nostro battesimo. Nelle acque di quella piscina solo uno fu guarito, mentre gli altri rimasero malati; ora, anche se il mondo intero si presentasse subito per ricevere il Battesimo, la grazia non diminuirebbe.
5-7. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo steso e sapendo che da molto tempo stava così, gli dice: «Vuoi guarire?» Gli rispose il malato: «Signore, non ho uomo che mi immerga nella piscina quando l’acqua viene agitata; quando vado io, un altro scende prima di me».
La perseveranza del paralitico è stupefacente. Per trentotto anni è rimasto lì in attesa, sperando ogni anno di essere guarito, ma sempre impedito da coloro che erano più forti. Eppure non si arrese né disperò. Ecco perché il Signore lo interrogò, per mostrarci la fermezza dell’uomo, e non certo perché ignorasse la risposta. Non solo non era necessario che Lui apprendesse la risposta, ma sarebbe stato sciocco per chiunque porre una domanda del genere, se cioè un malato desiderasse essere guarito. Il Signore parlò in quel modo solo per portare alla nostra attenzione la pazienza dell’uomo. Come risponde? Con grande gentilezza e dolcezza. “Sì, Signore, desidero essere guarito, ma non ho nessuno che possa portarmi nell’acqua”. Non risponde con una bestemmia; non rimprovera Cristo per aver posto una domanda stupida; non maledice il giorno della sua nascita come spesso facciamo noi, pusillanimi come siamo, quando affrontiamo un’afflizione molto minore della sua. Risponde con mansuetudine e supplica, senza sapere a chi si stesse rivolgendo e forse anche con l’intenzione di chiedere a Cristo di portarlo nell’acqua. Si noti inoltre che Cristo non disse: “Vuoi che io ti guarisca?” affinché non apparisse che si stesse vantando.
8-10. Gesù gli dice: «Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina». E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo giaciglio, camminava. Quel giorno era un sabato. Dicevano dunque i Giudei al guarito: «È sabato e non ti è lecito prendere il tuo giaciglio».
Gli ordina di prendere il suo letto per confermare che il miracolo non era un’illusione, poiché l’uomo non sarebbe stato in grado di portare il suo letto se le sue membra non fossero state saldamente e solidamente salde. Il Signore non gli richiede fede prima della guarigione, come fece con molti altri, poiché il paralitico non Lo aveva mai veduto compiere alcun segno. E per gli altri ai quali il Signore richiese fede, non fu prima, ma dopo aver compiuto miracoli in loro presenza. Osserva come il paralitico udì e credette immediatamente al comando del Signore. Non esitò a dire tra sé e sé: “Non è forse folle a comandarmi di alzarmi subito? Sono qui da trentotto anni senza mai essere guarito, e ora dovrei alzarmi all’improvviso?”. Senza alcun pensiero del genere, credette e si alzò. Il Signore guarisce di sabato, insegnando agli uomini a comprendere l’osservanza della legge in un modo nuovo, affinché non si pensi di onorare il sabato con il riposo fisico, ma astenendosi dal male. Come poteva la legge proibire di fare del bene di sabato, quando la legge viene da Dio, che sempre opera il bene?
11-13. «Chi mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina». Gli chiesero: «Chi è l’uomo che ti ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina?» Ma il guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato dalla folla che c’era in quel luogo.
Bisogna meravigliarsi della franchezza di quest’uomo nei confronti dei Giudei. Mentre lo assillavano, dicendo: “Non ti è lecito portare il tuo lettuccio di sabato”, egli proclamò con franchezza il suo Benefattore: “Chi mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina”. È come se dicesse: “È assurdo proibirmi di obbedire all’uomo che mi ha salvato da una malattia così lunga e difficile”. Gli ebrei non gli chiedono: “Chi ti ha guarito?”, ma: “Chi ti ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina?” È come se avessero scelto di essere ciechi al bene, ma fossero ossessionati da quella che consideravano una trasgressione del sabato. Gesù si è allontanato affinché la testimonianza dell’uomo sulla sua guarigione fosse prova della verità, e non passibile dell’accusa di cercare di ingraziarsi Gesù attribuendogli il miracolo. (Perché non solo l’uomo non sapeva chi fosse Gesù, ma) Gesù stesso non era più presente sulla scena. Gesù lasciò quel luogo anche per un altro motivo, per evitare di suscitare ulteriore ira negli ebrei. Sapeva che la sola vista dell’oggetto dell’invidia è sufficiente ad accendere una fiamma di disprezzo. Pertanto, Egli permette che i fatti della questione siano esaminati interamente in base al loro merito. E più gli ebrei accusano, interrogano ed esaminano, più rapidamente si diffonde la notizia del miracolo.
14-16. Dopo queste cose Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio.» Quell’uomo se ne andò e annunciò ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
Dalle parole del Signore al paralitico: “Ecco, sei guarito; non peccare più”, apprendiamo innanzitutto che la malattia nell’uomo deriva dal peccato. In secondo luogo, apprendiamo che l’insegnamento cristiano sull’inferno è vero e che la punizione lì è eterna. Dove sono ora coloro che dicono: “Ho fornicato per un’ora; come è possibile che io venga punito eternamente?” Ecco quest’uomo, i cui anni di peccato furono di gran lunga inferiori agli anni di punizione, visto che la sua punizione durò quasi quanto la vita di un uomo. Infatti i peccati non si giudicano dalla loro durata nel tempo, ma dalla natura della trasgressione. Impariamo anche dalle parole del Signore che, anche se abbiamo pagato una dura pena per i nostri peccati precedenti, e poi torniamo a quegli stessi peccati, saremo puniti più severamente di prima. In effetti, questo è solo giusto. Se un uomo non corregge la sua condotta dopo la sua prima punizione, deve essere trattato più severamente, perché è insensibile al bene e lo disprezza. Ma perché non vengono puniti tutti in questo modo? Vediamo che molti dei malvagi sono sani ed energici e trascorrono i loro giorni felici. Ma la loro assenza di sofferenze in questa vita diventa motivo di punizioni ancora più gravi nell’aldilà. San Paolo lo chiarisce quando scrive: “Ma quando siamo giudicati dal Signore”, cioè in questa vita, “siamo corretti, per non essere condannati insieme con il mondo, cioè nell’altra vita” (1 Cor 11-32). Ciò che riceviamo in questa vita sono solo ammonimenti: nell’altra vita sono veri e propri castighi. Allora, tutte le malattie sono forse conseguenza del peccato? Non tutte, ma la maggior parte. Alcune malattie derivano dal peccato, come vediamo nel caso del paralitico e anche in uno dei re di Giuda, che soffriva di dolori alle gambe a causa del peccato (3 Re 15, 23); altre malattie sono presentate come prova e prova di virtù, come nel caso di Giobbe; altre ancora derivano da eccessi di vario genere, come gola, lussuria e ubriachezza. Alcuni hanno supposto che le Sue parole, “Non peccare più”, indichino che il Signore sapesse che il paralitico lo avrebbe rivelato agli ebrei dopo averlo incontrato nel tempio. Ma non è così. È evidente che l’uomo fosse pio, poiché l’evangelista dice: “Gesù lo trovò nel tempio”. Se non fosse stato pio, si sarebbe dedicato al riposo, al mangiare e al bere, e sarebbe corso a casa per sfuggire ai deliri e alle domande degli ebrei. Ma nessuna di queste cose lo dissuase dall’andare al tempio. Dopo aver riconosciuto Gesù, guardate con quanta gratitudine lo annuncia agli ebrei. Non disse le parole che volevano sentire: “È Gesù che mi ha detto di prendere il mio lettuccio”, ma invece: “È Gesù che mi ha guarito”. Queste parole di gratitudine li fecero infuriare, poiché consideravano un crimine la violazione del sabato. Se gli ebrei perseguitavano il Signore, in che modo l’uomo era in colpa nel rivelarLo loro? Con sincere motivazioni annunciò loro il suo Guaritore per indurre gli altri a credere in Lui. Se perseguitavano Colui che faceva il bene, era un loro peccato.

Considerate la piscina delle pecore come la rappresentazione della grazia del Battesimo, in cui la Pecora sacrificata per noi, il Signore Gesù, fu lavata quando fu Egli battezzato per noi. Questa piscina ha cinque portici, che simboleggiano le quattro grandi virtù più la contemplazione divina del dogma che vengono rivelate nel Battesimo. La natura umana, paralizzata in tutte le sue facoltà spirituali, rimase malata per trentotto anni. Non era salda nella sua fede nella Santissima Trinità (cioè 3), né aveva una fede sicura nell’ottava era (cioè 8), cioè nella Resurrezione universale e nel Giudizio Universale. Per questo non poteva trovare guarigione, perché non aveva nessuno che la mettesse nella piscina. Vale a dire, il Figlio di Dio, che intendeva guarire attraverso il Battesimo, non si era ancora fatto uomo. Ma quando si fece uomo, guarì la nostra natura e ci comandò di prendere il nostro giaciglio, cioè di sollevare il nostro corpo da terra, rendendolo leggero e libero, non appesantito dalla carne e dalle preoccupazioni terrene, e sollevandolo dall’indolenza affinché fosse in grado di camminare, ovvero che fosse attivo nell’operare il bene. L’agitazione dell’acqua nella piscina suggerisce l’agitazione degli spiriti maligni che si annidano nelle acque del Battesimo, schiacciati e soffocati per mezzo della grazia del Santo Spirito. Possiamo anche noi ottenere la guarigione, perché siamo paralizzati e immobili nel fare qualsiasi bene; inoltre non abbiamo “nessun uomo”, cioè nessun pensiero umano e razionale, che ci distingua dalle bestie irrazionali, per trasportarci nella piscina di lacrime del pentimento, in cui il primo che entra viene guarito. Chi procrastina e rimanda il suo pentimento a più tardi, e non si affretta a pentirsi ora, non ottiene la guarigione. Affrettati a essere il primo a entrare in questa piscina, affinché la morte non ti colga. E c’è un angelo che agita questa piscina del pentimento. Che angelo è? L’Angelo del Gran Consiglio del Padre, Cristo Salvatore (cfr. Is 9,6). Perché se la Parola divina non tocca il nostro cuore e non lo turba con il pensiero dei tormenti dell’età a venire, questa piscina non può diventare attiva ed efficace, e non c’è guarigione per l’anima paralizzata. La piscina del pentimento può anche essere appropriatamente chiamata piscina delle pecore; poiché in essa vengono lavati come pecore le parti interiori e i pensieri dei santi, che sono preparati a diventare un sacrificio vivente gradito a Dio, rendendoli innocenti e puri. Che anche noi otteniamo la guarigione, e poi possiamo essere trovati nel santo tempio di Dio, non più macchiati da pensieri impuri, affinché non ci capiti qualcosa di peggio, “i tormenti eterni”.

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